Tutti i contratti di locazione di case e negozi devono essere registrati. Se non lo sono, diventano automaticamente nulli. E chi ha consapevolmente pagato in nero l'intero canone o parte della pigione - ed è in grado di dimostrare il passaggio di mano dei soldi - ha diritto a riavere indietro quanto ha versato sottobanco a non essere sfrattato per morosità se smette di stare al gioco. Con una sentenza destinata a fare scuola e a scatenare una pioggia di cause fotocopia - la numero 606, depositata qualche giorno fa - i giudici della Quarta sezione civile della corte d'appello di Torino hanno scritto un provvedimento che finirà in saggi, manuali, bibbie del diritto.
Una sentenza semplice quanto innovativa. Ribaltando le decisioni dei colleghi di primo grado, accogliendo invece le argomentazioni portate dagli avvocati Roberto Stroppiana e Daniele Cirio, hanno dato ragione in pieno ad una commerciante torinese cinquantenne con un negozio di bigiotteria dalle parti di Porta Susa.
Non solo non potrà essere cacciata dalla proprietaria, una anziana signora benestante residente in Svizzera, ma non dovrà più versare la "maggiorazione" esentasse.
E le dovranno essere resi brevi manu o con una compensazione sui futuri affitti, i quattrini pagati in più, oltre la cifra pattuita con il contratto "vero" depositato alla agenzia delle Entrate.
L'avvocato Stroppiana, incassata la vittoria, è più che soddisfatto. Per la cliente. E per il solco tracciato dai giudici d'appello di Torino. «Questa sentenza, nella linea aperta da due pronunciamenti delle corte costituzionale, va nella direzione della legalità, ribaltando una giurisprudenza superata, applicata per decenni».
Per incassare il risultato positivo, il legale ha fatto leva anche su un comma scovato nella legge finanziaria per l'anno 2005. Il numero 346. «I contratti di locazione di unità immobiliari o di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». È vero che la commerciante di Porta Susa, controfirmando una scrittura privata, aveva accettato di aggiungere agli 800 euro mensili chiesti in chiaro i 1.100 euro concordati in nero. Ma il "contratto dissimulato", quello rimasto invisibile allo Stato e al Fisco, non vale niente, carta straccia. «L'accordo reale voluto dalle parti in ordine al canone di locazione - dicono i giudici - non può avere alcuna reale efficacia, perché nullo», essendo la norma di riferimento «imperativa». La conseguenza è che, cessati i pagamenti aggiuntivi, per la negoziante non si può parlare di morosità né di inadempienza e neppure agire di conseguenza. Gli stessi magistrati della Quarta sezione - presidente Maria Bonadies, consiglieri Nicola Fuiano Alessandro Prunas Tola - si rendono conto della portata delle loro decisione, una rivoluzione copernicana in materia. Compensano integralmente le spese di lite, parole loro, per «la particolarità e novità delle questioni trattate». «Non sono in grado di stimare quante persone si trovino nelle condizioni della mia cliente- aggiunge l'avvocato Roberto Stroppiana - ma credo di non esagerare ragionando in termini di migliaia. Studenti, immigrati... Per promuovere una causa simile, l'ideale sarebbe avere la documentazione delle cifre versate in nero.
Nel nostro caso c'erano dei bonifici bancari». Ci sarà anche, per la proprietaria del negozio, una appendice fiscale. Sui quattrini extra non ha mai pagato un euro di imposte.
repubblica.it - LORENZA PLEUTERI